
L’aria di quei giorni di fine estate si faceva densa di profumati aromi che si disfacevano, mischiandosi con i primi impercettibili brividi dell’autunno, accompagnando le passeggiate di Pietro che cercava di “capire”l’isola che sontuosa, nera, immobile, lo ignorava, indifferente e lontana. Passando davanti ad un lussuoso albergo con grandi finestre, riconobbe la ragazza dalla borsa di cuoio, dietro il banco della reception che, ordinatamente, sistemava delle carte, rispondeva al telefono e si aggiustava gli occhiali sul naso. Aguzzando gli occhi vide scritto sul cartellino, appuntato sulla elegante giacca grigio scuro, il suo nome:Stefania, contemporaneamente lei alzò la testa, riconoscendolo e gli sorrise impercettibilmente, increspando le labbra, quasi per chiedere scusa… Si misero a parlare senza accennare al loro primo incontro e Stefania si mostrava compiaciuta e divertita dalla ingenua ammirazione di Pietro che sembrava ringiovanito, rianimandosi un poco, guardando le belle mani che sistemavano gli oggetti sul banco, agitando le lunghe dita.
Nel pomeriggio andarono in gita a Panarea e, finalmente, le franche risate di Stefania, il suo modo di accomodarsi il cappello sulla testa, dondolando i piedi nell’acqua, seduta sul bordo della barca, risvegliarono Pietro come da un profondo, buio coma.
L’isola li accolse festosamente, chiudendoli in un cerchio di colori smaglianti, superata la spiaggia si avviarono lungo un sentiero in salita su massicci scalini di pietra e, all’improvviso si trovarono su un’enorme piattaforma di pietra grigia dove erano tracciati, da sassi, ricordi di un lontanissimo passato; quello che rimaneva di un villaggio preistorico. Pietro sentiva battere il cuore dell’isola nel vulcano sommerso e volse il capo verso i fondali ad est dove il mare sembrava raccogliersi e distendersi. Guardandosi attorno vedeva gli scogli neri, luccicanti sotto il sole che tramontava, intingendo i polpastrelli infuocati nelle onde, sentiva le grida stridule dei gabbiani che immergevano le ali nel mare e, facendo l’amore con la ragazza che si stringeva a lui come per blandirlo e consolarlo, sentì che i grumi che gli indolenzivano il petto si scioglievano scomparendo lontano.
A sera inoltrata, tornarono verso casa tenendosi per mano, mentre Berto, aspettandoli, accanto al camino arrostiva i conigli, catturati la mattina per la cena e, più tardi con gli amici radunati attorno, mentre il vino e il pane sparivano rapidamente, continuava ad aggiungere legna al fuoco che guizzava allegramente e fumando senza sosta, guardava suo figlio con la bella ragazza. Stringendo le mani nodose continuava ad ascoltare le parole che gli rotolavano dentro, senza pietà, i suoi occhi azzurri diventavano più scuri:”No te conoce……porque te has muerto para siempre.”
La malvasia, bevuta abbondantemente, ingannandolo con il suo sapore dolce e accattivante, aveva fatto crollare Pietro che dormiva, russando pesantemente, sdraiato sul divano con la bocca socchiusa e le braccia spalancate, ora non sentiva le eruzioni del vulcano che, nella notte autunnale borbottavano in crescente sordina.
Spalancò gli occhi, svegliandosi, mentre il padre gli buttava addosso una coperta a strisce rosse.Qualcosa nell’atmosfera era cambiata; Berto appariva come tranquillizzato, i suoi movimenti erano contenuti e le rughe della fronte spianate, parlava sfiorando la testa di Geo poggiata sul suo ginocchio e come un fiume, le parole scorrevano allungandosi e disperdendosi.
Quello che diceva di se stesso, della vita vista attraverso le strette fessure azzurrognole dei suoi occhi, depositavano in Pietro una crescente tormentosa aspettativa.Una atroce nevralgia gli azzannava la testa facendogli battere le tempie, dal divano sentiva il rumore dei piatti e dei bicchieri che proveniva dalla cucina, il monologo del padre, monotono ed incessante, si interruppe per Pietro che si alzò barcollando verso la cucina, avvicinandosi a Stefania che con la testa girata e i lunghi capelli che toccavano l’acquaio, poggiava i piatti sgocciolanti sullo scolatoio, sentendolo arrivare si asciugò le mani sul grembiule, guardandolo con aria interrogativa e quasi di sfida… ma lo sguardo di Pietro la colpì come un proiettile e, per sfuggirgli, corse verso il sentiero mentre i passi precipitosi, disordinati di lui la inseguivano.
Il vento era ormai come sciolto dagli ormeggi e sempre più furiose e urlanti le eruzioni del grande vulcano, tanto che i richiami prolungati di Berto, che agitava una lanterna nel buio, si mescolavano con il fruscio dei rami e gli assordanti boati che sembravano scivolare con la lava incandescente lungo i fianchi della montagna…
(Fine)