venerdì 30 maggio 2008

La ragazza dagli occhi verdi. Di Augusta Modica

--- AUX YEUX VERT ---



La terrazza, con i gerani fioriti nei vasi di terracotta dalle larghe carnose foglie e le pesanti corolle colorate, suggeriva l’idea di una festa elegante e movimentata, mentre i gelsomini si intrecciavano sulle ringhiere, profumando intensamente l’aria. La campagna,intorno,serrava la grande casa in una morsa verde.
Sospirando, le lettere in mano, passò davanti alle porte finestre socchiuse, si vedevano sedie a sdraio e ombrelloni bianchi, si sentivano le voci allegre, con qualche nota metallica, di due donne giovani con cappelli di paglia e assurdi occhiali da sole. La pelle molto abbronzata e leggermente secca suggeriva sedute forzate sotto le lampade e non l’aria e il sole. Grandi borse di plastica colorata erano poggiate sulle sedie,vicino ai portacenere traboccanti di mozziconi di sigarette sporchi di rossetto, una bambina grassoccia con una frangia che metteva in risalto il naso a patata e le guance gonfie; come se stesse continuamente masticando del cibo, giocava con i suoi occhiali da vista, buttandoli sulla terra dei vasi, noncurante dei rimbrotti della madre che si guardava bene dall’alzarsi.
Sfiorò le tende, poggiando un momento la fronte sul velluto morbido e, a malincuore, imboccò il lungo corridoio, bloccato, proprio vicino la porta dello studio, da un enorme vecchio cane nero con il muso bavoso quasi nascosto tra le zampe, dovette strisciare sulla parete per evitarlo e fu salutata da un ringhiare sottotono che mise in mostra le zanne ingiallite. Spinse la porta pensando: “Neanche tu mi sei simpatico!” e sventolandosi con le lettere avanzò verso la scrivania dove non c’era seduto nessuno, si guardò attorno e lo vide vicino la cassaforte. Ordinatamente predisponeva documenti e banconote sui vari ripiani, le spalle curve nella vecchia giacca i capelli bianchi troppo lunghi e leggermente ingialliti, si girò sentendola inciampare sul tappeto logoro e si aggiustò gli occhiali sul naso, spalancando la bocca dalle labbra sottili in una smorfia ammiccante.
Un brivido le percorse la schiena; una sequenza di immagini, una dietro l’altra, come proiettili le sfilarono davanti gli occhi; i loro corpi che si cercavano e si respingevano in una convulsa lotta, dove il piacere era raggiunto in un esasperante parossismo, ogni volta meno magico.
Pensò con sollievo alla bottiglia di whisky, al liquore giallo che riempiva i bicchieri, riuscendo ad infonderle un poco di coraggio, toccandosi il viso ancora giovane sorrise, ricordando la poesia scritta per lei pochi giorni prima: “La mia amica
Aux yeux vert”…………………………………

I versi risuonavano echeggiando sempre più forte,come da diversi punti di una stanza, disponendosi lungo le pareti, incontrandosi al centro e poi ritornando indietro. Lo scatto della cassaforte che si chiudeva la fece trasalire e, mentre posava le lettere sul tavolo, la porta si spalancò dietro la spinta del vecchio cane che si stiracchiò sbadigliando, una puzza leggera ma nauseante arrivò alle sue narici, portò la mano al naso, cercando sul polso l’odore fresco e amarognolo del suo profumo e si avviò lentamente dietro di lui verso la stanza da pranzo.
Le ragazze erano già sedute con i tovaglioli spiegati sulle ginocchia; confabulavano tra loro con le teste accostate, mentre la bambina,con gli occhiali inforcati, si divertiva a infilare le dita sporche in tutti i bicchieri. Non appena la videro, dietro le spalle del padre, sedettero compostamente, tacendo, e cominciarono a sgranocchiare olive e gambi di sedano per evitare di rivolgerle la parola.
Appena seduti, la grossa Michelina entrò, portando la zuppiera, il brodo era sciabordato dall’orlo, perché c’era una macchia umida sul grembiule e le tozze dita della mano destra erano bagnate. L’appetito scomparve rapidamente, mentre il donnone la urtava con il fianco, versandole il brodo nella tazza.Il vestito nero ,un po’ lucido, e il grembiule bianco”sembravano “puliti ma non avevano alcuna freschezza e anche la faccia bolsa, con i peli agli angoli della bocca, le sopracciglia cispose ,i capelli scuri striati di grigio, strettamente raccolti sulla nuca, apparivano solo superficialmente lavati, ma l’untume della sporcizia era profondamente radicato in tutta la persona. Come se avesse potuto leggere i suoi pensieri, la serva la guardò in tralice allontanandosi, mentre il gorgoglio goloso della “petite”, alla terza tazza di brodo, faceva sparire completamente le ultime tracce del suo appetito, si guardò intorno, spezzando un grissino e tracciando dei cerchi con l’indice sulla tovaglia. Di fronte,lui sorbiva il brodo, curvo sulla tazza il tovagliolo stretto sul petto con l’altra mano per non sporcarsi la camicia. I versi della poesia le si inchinarono con grazia davanti continuando:”..vuol bene
Alla sua gioventù.
Ama le calze a rete
E ha sempre
Un garofano all’occhiello”…

Il rumore di una sedia che cadeva rumorosamente per terra e le grida della bambina che mugolava in preda alle coliche ,la fecero balzare in piedi. Profittando della confusione e scansando Michelina che accorreva, corse al piano di sopra.
Basta, basta, basta si ripeteva mettendo poche cose nella valigetta, cambiandosi in fretta e passandosi un pettine tra i capelli. Guardandosi nello specchio, incurvò le labbra perché ascoltava:..”Del fiore
muta spesso il colore”…
Scendendo le scale lentamente, mentre le strida della bambina, mescolate alle altre voci risuonavano dietro la porta della sala da pranzo, tendeva l’orecchio “..Purchè si intoni ai suoi sguardi”…,raggiunse il portone e, facendo scattare il chiavistello, lo chiuse piano alle sue spalle”…che intorbidano l’anima”…,sussurravano i versi al suo orecchio.
Il grosso cane la guardò con indifferenza raspando l’erba e girando il testone da un’altra parte.Camminava rapidamente, quasi in punta di piedi, lasciandolo alle spalle, con la poesia che l’avvolgeva, accompagnandola con l’ultimo verso: “Rivederla fa bene alla vita”

Aux yeux vert

Aux yeux vert

La mia amica

aux yeux vert

vuol bene

alla sua gioventù.

Ama le calze a rete.

E ha sempre

un garofano all'occhiello.

Del fiore

muta spesso il colore

purchè s'intoni ai suoi sguardi

che intorbidano l'anima.

Rivederla fa bene alla vita.

( Sono versi che ritengo debbano restare senza data, nella convinzione che continui ad aver ragione John Keats: "A Thing of Beauty is a Joy Forever". l.f.)

lunedì 26 maggio 2008

Faceva caldo


Trent'anni fa, quasi esatti, feci la fotografia ai bambini che si tuffavano nella fontana del Giardino Inglese. Viste le temperature odierne vien voglia di imitarli

G.S.

Andare lontano, come un boomerang. Di Augusta Modica.

Il giro del mondo si fa in molto meno di ottanta giorni e poche ore di aereo bastano per raggiungere i luoghi più lontani. Un bel risparmio di tempo!Così non è per l’arabo che attraversa il deserto. Nel deserto l’acqua disseta, perché la sete raggiunge il suo culmine.La sensazione fisica della fame,del caldo e dello sforzo, fa vedere e sentire in pieno i colori e l’aria, rendendo l’uomo parte integrante del tutto, egli fiuta il mattino che si avvicina,alzandosi come il suo cammello;si rimetterà in cammino e..non si preoccuperà di risparmiare il tempo, perché lo interpreta e le stelle, che sono impallidite, sono dentro di lui.
Comodamente seduti in un vagone ferroviario, sfogliando un giornale, diamo un’occhiata distratta fuori dal finestrino, ci annoiamo rimpiangendo di non avere preso l’aereo per fare prima.Gli alberi, la campagna e le città restano “fuori”, separati da noi: un susseguirsi frenetico e veloce che non possiamo accogliere. Fuggiamo, non viaggiamo.Velocemente raggiungiamo la nostra meta, senza passeggiare per le strade, visitare i musei o parlare con la gente dei luoghi di transito, abbiamo mancato il percorso. E’ stata tagliata via una parte importante che ci avrebbe consentito di fare completamente nostra,di interiorizzare un’esperienza. Come la freccia di Zenone, siamo rimasti fermi in ogni punto della nostra traiettoria, in realtà non siamo affatto partiti; ci siamo semplicemente spostati da un punto all’altro per poi ritornare indietro, come un boomerang.
Attraverso infiniti percorsi, Ulisse viaggia nello spazio e nel tempo, la sua curiosità, il suo desiderio di indagare fanno di lui “il viaggiatore”. La sua umanità si arricchisce fino all’ultimo viaggio, quando la sfida contro l’ignoto lo rende simile a un dio, le colonne d’Ercole, l’estremo confine del mondo, non lo fermano. Il suo viaggio continua, e la morte è soltanto un particolare irrilevante. Ulisse, consapevole, gestisce il suo viaggio che non avrà mai fine, perché il suo slancio non può essere fermato.Il mare, che ci appare senza limiti, accompagna questa immagine cullandola all’infinito.
Viaggiatori inconsapevoli i passeggeri del-TITANIC- . La nave scivola ignara con il suo carico, e uomini ciechi e sordi ballano mentre la musica scandisce un tempo che sta per spezzarsi. Fuori dei cimiteri,in Grecia è scritta una sola parola: “Dormono”,se si potesse scrivere sull’acqua che si è rinchiusa sulla nave inabissatasi, la parola giusta sarebbe: ”Viaggiano”.

domenica 25 maggio 2008

Coffe house e il resto alla Villa Giulia.

Amor Omnia Vincit. E quello che scrisse Virgilio deve essere proprio vero se - vincendo la naturale ripugnanza che desta un vespasiano, abusivamente e per necessità pubblico di fatto, in un angolo altrettanto pubblico della città, si trova sempre qualche ragazzo che vada a scrivere la sua altrettanto impellente dichiarazione d'amore su un muro come quello di cui alla foto di elle&effe. Eppure sono anni che si parla , nei luoghi acconci, avrebbe detto Leopardi, della coffee house e dei servizi d'altro genere da realizzare nel bel porticato neoclassico della Villa Giulia. L'immagine parla chiaro e non riteniamo di dover aggiungere altro a parte il nostro"a buon intenditor...". 24 maggio 2008. (l.f.)

sabato 24 maggio 2008

I colori del bianco, di Augusta Modica.

Acromatico, viene definito il colore bianco e nella parola “colore”c’è una contraddizione, perché “acromatico” vuol dire: assenza di colore.
Perfetto contrario del nero, che è un sovrapporsi di colori, il bianco si altera al minimo contatto con qualsiasi altro colore, non sopporta la contaminazione , è assoluto e intatto come la neve. Gli eschimesi, nella loro lingua, hanno almeno venti modi per definire il bianco della neve, immersi come sono in una dimensione di bianco senza confini.
L’assenza di colore è la peculiarità degli “albini”. Negli uomini, peli e capelli sono bianchicci, gli occhi e la pelle rosati. Si attribuiva, in passato, e anche oggi in alcune zone dell’Africa, potere e capacità eccezionali agli uomini o agli animali albini. La piccola foca bianca, nel racconto di Kipling, appartiene alla leggenda; una foca dal mantello bianco porterà in salvo il suo branco in una isola non contaminata dalla presenza dell’uomo. I cacciatori, terrorizzati,notandola nel branco, credono di essere in presenza dello spirito maligno di un loro compagno morto.
Nello Zoo di Madrid c’era, sino a pochi anni fa, uno scimpanzè albino, lo avevano trovato, cucciolo, piccolo e spaventato accanto alla madre morta nella giungla. La moglie del direttore dello zoo lo ha allevato come un bambino,t utti hanno notato che gli altri animali lo guardavano con un misto di rispetto e di paura. Aveva il pelo candido, quasi argentato, gli occhi azzurri e un po’ melanconici, lo avevano chiamato “Copito”, in spagnolo: “Piccolo Fiocco di Neve”. Quando faceva i capricci, respingendo la scodella con il cibo, la moglie del direttore lo blandiva con le carezze e gli diceva: “Non vuoi mangiare Piccolo Re?”.
La purezza si addice al bianco, si accompagna al distacco, alla distanza,all’isolamento. Fredda e casta è la luna,nel cielo e, quando è perfettamente bianca, tra le nuvole, sembra stia con gli occhi chiusi, è guardata e non guarda.
I fiori più profumati sono bianchi e il bianco diventa una sensazione appena percepita.Il profumo del gelsomino o della tuberosa diventa più penetrante di notte e l’oscurità si riempie di efflluvi che sembra di potere sfiorare con la punta delle dita. In Grecia sono le tuberose e non i crisantemi che si portano sulle tombe e sembrano adattarsi al regno impenetrabile e lontano della Morte.

venerdì 23 maggio 2008

Per le antiche scale della ex Vignicella gesuitica.

Lo scorso anno, tra i monumenti adottati dalle scuole palermitane ci fu anche la cosiddetta Vignicella. Il vecchio complesso gesuitico nel quale si trasferì il primo vero manicomio di Palermo, quello che dal 1824 fu gestito dal Barone Pisani. La visitammo in pochi la Vignicella ( forse da trasformare in un museo della diversità ?) e a me fu possibile realizzare una lunga serie di foto spesso agghiaccianti. Come quella che allego a queste righe e che testimonia l'anelito alla vita di chi venne rinchiuso tra quelle mura solo ora bianche per chissà quanti anni, e forse fino alla morte, magari soltanto perchè infastidiva la gente per via o diceva parole sconce ma che possibilmentente non era affatto pericoloso, nè a se stesso ne agli altri.
Ritenevo che anche quest'anno avrei potuto trovare incluso tra i monumenti adottati dai ragazzi delle medie quel Monumento all'Umana Pietà, e ho letto con attenzione l'elenco dei monumenti adottati quest'anno dalla Scuola. Non ce lo ho trovato. E me ne rammarico perchè la scorsa iniziativa servì in qualche modo a sensibilizzare l'attenzione della gente "sana" nei confronti di quei nostri poveri malati che affollarono gli stanzoni fetidi della Vignicella. Nei confronti dei nostri "amici fragili" che i grandi Fabrizio de Andrè e Giorgio Gaber ricordarono nel modo più struggente e partecipativo.
Che peccato che anche quest'anno quel futuro( ?) Museo sia rimasto chiuso.
Ma se questa notizia sia fondata o meno andatelo a riscontrare e magari fatelo sapere a Il Rosa e il Nero. Grazie. (l.f.)

giovedì 22 maggio 2008

Palabrezza


La foto fatta ieri mattina, a Piazza San Giovanni Decollato, visto che l'inquadratura mette assieme un catorcio abbandonato da una decina d'anni (e mai rimosso dai pertinenti servizi municipali, ma questa, come direbbe Lucarelli, è un'altra storia) e l'insegna di un locale "di tendenza", non potevo che chiamarla come nel titolo di questa mail. (G.S.)

Gli dei del sonno, di Augusta Modica.

Dolce il riposo che donava Morfeo, uno degli dei del sonno invocato dagli uomini e dagli dei. Si avvicinava, furtivo, agitando luminose ali di farfalla e apparendo sotto sembianze di persone note, non suscitando, così, paura o diffidenza. Accostandosi, faceva vibrare le ali variopinte e leggere, circondando con le braccia la persona che, a questo contatto voluttuoso, a poco a poco, perdeva conoscenza abbandonandosi dolcemente a questo oblioso abbraccio.
Non a tutti, purtroppo, Morfeo concede le sue preziose e invocate visite! Non è sempre facile abbandonarsi al sonno; attraversare la soglia intermedia tra veglia e non veglia, crea una tensione che molti non riescono a disperdere, è come una lotta tra la luce e il buio che si affrontano e non sempre si riesce a …farsi vincere dal sonno! Come in amore, bisogna avere il coraggio di perdersi per poi ritrovarsi. Dentro di noi, latente, striscia una sensazione di paura inconsapevole, un volere restare all’erta, un desiderio di vegliare su noi stessi per proteggerci da insidiosi pericoli esteriori, sensazioni che tenevano sveglio l’uomo primitivo, avvolto dal terrore del buio echeggiante di insidie che scivolavano verso di lui, tentando di ghermirlo.
“ Ipnos”, come lo chiamavano i greci, è figlio della notte e fratello gemello della morte…..”morire,dormire…sognare forse?” Amleto si chiede quali sogni potranno turbare il suo sonno di morte, l’agitarsi superstizioso di lemuri, fantasmi, visioni, prende, così,c onsistenza nell’oscurità mentre la paura li materializza in una vita propria, rendendoli incombenti e minacciosi.
“Incubo”, un altro degli dei del sonno, malignamente penetrava nelle case degli uomini e, accovacciandosi pesantemente sul loro petto, alitava sul loro viso, suscitando nella mente profili inquietanti e contorte figure, rendendo una tortura il riposo e provocando grida di terrore. Come la neve che si scioglie al sole, all’apparire del mattino mormoranti cortei si accartocciano e scompaiano,quasi fuggendo disordinatamente.”…Lasciami essere breve, poiché fiuto l’aria mattutina..”prega il fantasma del re nella tragedia di “Amleto”.
Sapete che si può anche….morire dal sonno e non è solo un modo di dire? Accade da un secolo e mezzo in un paesino del Veneto, dove quattordici membri di una famiglia sono morti per insonnia,tutti tra i quaranta e i cinquanta anni ;la malattia si annuncia in sordina, cominciano col dormire sempre meno, si trascinano senza pace, perdendo l’appetito, logorandosi in vani e infruttuosi tentativi, spasmodicamente cercando di..chiudere gli occhi. L’organismo si debilita lentamente e, finalmente, cessano di vivere..dormendo per sempre!

mercoledì 21 maggio 2008

Ciao Giulia

Resterai fra di noi, per il nostro sempre.

"E' possibile lo sai,
amare un'ombra,
ombre noi stessi". (Eugenio Montale)

Triste cronaca da piazzetta Brunaccini


Anticipiamo una notizia che sarà sulla carta stampata di domani e che mi è stata fornita da Giuseppe Scuderi nella mattina di oggi:
Stamattina i vigili urbani hanno liberato il portico della Biblioteca Comunale (Piazzetta Brunaccini, accanto al più noto ingresso da Piazza Casa Professa) dalle miserrime e fetide (inutile negarlo) cose dei senza casa che da qualche mese lo avevano scelto come dormitoio. Il Direttore della Biblioteca da tempo aveva chiesto un intervento dei vari "servizi sociali" perchè questi poveri cristi (che però la notte diventavano poveri diavoli ubriachi e consumatori-spacciatori) si convincessero ad andar via senza interventi di forza, ma, ovviamente, nulla da fare: e d'altronde nella città il cui Comune non ha i soldi per pagare le case-famiglia ( 88 ) che assistono 850 minori è possibile che ad aiutare questi ultimi sfrattati daPiazza Brunaccini rimangano provvisoriamente soltanto i soliti e infinitamente encomiabili volontari più o meno cattolici. O no?
( l.f.)
Nella allegata foto di elle&effe, scattata un paio di mesi fa, le povere cose degli immigrati irregolari depositate sotto il portico dell'ingresso monumentale alla biblioteca.

martedì 20 maggio 2008

Le rose, di Augusta Modica


Uno dei doni della primavera è il fiorire delle rose, non c’è nessun altro fiore che abbia ricevuto tanta attenzione e ammirazione quanto la rosa; è la più celebrata dai poeti e scrittori, dipinta in tutte le sue sfumature dai pittori, penetrante nelle essenze dei profumi più preziosi. Maestosamente si erge sullo stelo,e i suoi petali,carnosi e variegati, si stringono quasi per trattenere un sospiro, sembra che guardi dentro se stessa,non curandosi, sdegnosa, dell’ammirazione che suscita. Appena sbocciata, sembra essere orgogliosa di avere raggiunto l’intatta perfezione della bellezza lasciandosi ingannare dall’illusoria eternità del suo momento vitale. Il delicato curvarsi dei petali,suggerisce il suo gioire dell’aria, della rugiada, del sole e…anche il vento le dedica una attenzione speciale, facendola leggermente sussultare di piacere, accarezzandola con dita leggere.
Il suo profumo è molle, insinuante, accennato ma presente, si mescola compiutamente nell’aria, così come poche gocce di vino tingono l’acqua in un bicchiere di puro cristallo.
“E’ come il riflesso di una rosa bianca in uno specchio d’argento”dice,incantato un paggio, guardando una principessina,girare il volto delicato verso di lui, in un racconto di Oscar Wilde.
La rosa, più di ogni altro fiore, ricorda la donna ,il suo manifestarsi all’interno, nascondendo tra i petali profumati, il suo cuore. Le spine sul suo gambo, manifestano il desiderio di non essere violentemente ghermita dalla mano che la vuole cogliere. Ecco, le spine sono un’invenzione della rosa per proteggersi, perché le piante, nel corso della loro evoluzione, hanno elaborato sofisticati sistemi per preservarsi e sopravvivere. Il desiderio spinge la rosa a fiorire, il desiderio che è il grande tema della vita, come dice Charlie Chaplin in “Luci della Ribalta”, la fa sbocciare e raggiungere la sua perfezione.
”Effimera”, sussurra il poeta francese Ronsard a Cassandra, nella deliziosa ode: “Mignonne, allons voir si la rose….”, paragonando il fresco riso della sua amica alla rosa appena sbocciata, ma gettando, alla fine della poesia, un velo di tristezza e di morte, dicendole che la vecchiaia farà appassire il fiore e la sua bellezza! Ma se dovessimo fantasticare a piacer nostro, continuando questa deliziosa poesia, potremmo ascoltare il riso incredulo di Cassandra, alle parole del vecchio poeta, e il suo girargli le spalle, facendogli il broncio e chiamandolo noioso parruccone!

lunedì 19 maggio 2008

Edmund Sikorsky, 19 luglio 1943.

Edmund Sikorsy aveva 23 anni il 19 luglio del 1943, quando fu impiccato ad Auschwitz, insieme a un numero imprecisato di ragazzi polacchi. Che avevano il torto di essere ebrei e di aver parlato con civili che vivevano intorno a quel lager.
La scritta sul vetro oggi fa sapere che il giorno in cui lo assassinarono volle essere un giorno esemplare per i prigionieri, una pubblica esecuzione. Anzi la scritta precisa che quell'esecuzione fu la più grande tra quelle pubbliche tenute ad Auschwitz.
Quando ripresi la sua foto non mi accorsi che il vetro rifletteva , anche se confusamente, la mia immagine. Ora sono orgoglioso di avere una foto che mi riprende accanto a quel ragazzo al cui volto e al cui struggente ricordo mi sento di essere rimasto a far compagnia. Da quell'ultimo giorno dell' autunno polacco nel quale, tanto diversamente da Edmund, entrai e uscii nello stesso giorno passando e ripassando sotto l'infame scritta che, solo in quel posto, continua a offendere l'umanità : Arbeit Macht Frei.

Lucio Forte

domenica 18 maggio 2008

Il campo dei Rom kossovari,serbi e montenegrini alla Favorita.


...in un pozzo di piscio e cemento, in un campo strappato dal vento a forza di essere vento...

Fu in un simile contesto che l'indimenticabile Faber De Andrè ambientò la vicenda italiana dei suoi Rom Korakhanè. Dei Rom mussulmani che leggono il Corano e si spostano per il mondo di giorno in giorno, di mese in mese.
Ed era stato forse anche sulla scorta della suggestione che nasce dal celebre brano Faberiano se stamattina - 18 maggio 2008 - avevo voluto riservare una piccola parte della mia laica domenica ad una breve permanenza nel campo Rom della Favorita. Magari per parlare con qualcuno cui esprimere umana solidarietà, dopo certe notizie di cronaca. E proprio nel campo ove ho documentato fotograficamente troppi aspetti di un posto inaccettabile. Dove pensavo vivessero ancora ,malgrado gli incendi di Ponticelli, diversi dei Rom kossovari, serbi e montenegrini provvisoriamente "accolti" in città.
Nel campo invece c'era un gran silenzio; interrotto, a tratti, solo dal concerto delle voci di bimbi che con i genitori giocavano accanto allo stadio dedicato a Vito Schifani. Ma nel piazzale dei Rom, cui si accede da una rampa di polvere e sassi, se non c'era il cemento di cui scrisse Faber, c'era sicuramente il resto a intridere di sè la sabbia rossastra; oltre a immodizie inidentificabili e ad alcuni stivali di plastica rosa, schiacciati e spaiati dal passaggio delle auto dei nomadi e dei volontari che fanno l'impossibile per dar loro una mano.
E il campo sembrava davvero svuotato, quasi deserto. Solo davanti a una delle baracche, la più lontana dal punto in cui mi ero arrestato, c'era una grossa macchina con qualcuno intorno. Adulti che non mi degnarono di uno sguardo, nè vennero a chiedermi cosa stessi a fare là o chi fossi.
Dovunque aria di affrettato abbandono. Chiuse o spalancate sghimbesce le porte delle abitazioni tirate su con la faesite, le reti da letto e con quanto si ricava dai cartelli abbattuti dallo stesso vento che poi strappa i tetti e li fa a pezzi. Mentre sotto a quelle casupole, tanto più più vulnerabili sulle palafitte che s'alzano di poco dal fango invernale, non restava alcun oggetto d'uso quotidiano. A parte qualche inutilizzabile bagnarola di plastica.
Fu poi d'improvviso che si materializzarono dal nulla tre bambini, due maschietti e una femmina. Puliti, i maschi con i capelli quasi rasati, apparentemente in buona salute. Si acccostarono curiosi all'auto sulla quale ero risalito e mi si rivolsero in perfetto italiano. Probabilmente erano nati qui, italiani come me che a disagio non seppi cosa rispondere ai loro ripetuti "Chi cerca signore? signore chi cerca? Si fermi un poco, non vada via.Chi cercava?".
Quando si accostarono al vetro dello sportello mi sentii un intruso che curiosava là apparentemente senza un motivo preciso. Uno dei piccoli vide le fotocamere che tenevo sul sedile e avvertì gli altri. "E' un fotografo".
Allora se ne tornarono lentamente verso lo stesso nulla dal quale erano usciti. Nè fui capace di richiamarli, per fargli sapere d'essere venuto per dire loro solidarietà. Per i grandi, che la paura aveva rimesso in via. Per i vecchi, che li avevano lasciati per stabilirsi chissà dove.
Per fermarsi un'altra volta italiani, avrebbe detto Faber,come rame a imbrunire su un muro.
Lucio Forte

Frugando nello scrigno della memoria, di Augusta Modica. Ultima parte.

( ...la sofferenza, il sangue ,la memoria... : Palermo, "Convitto Nazionale Giovanni Falcone".)

Mio padre fu trasferito da Sciacca, dove sono nata; a Palermo(avevo appena finito la seconda elementare) andammo ad abitare in via Lascaris 44, proprio di fronte la casa dei nonni.
Sino a tarda sera e forse per buona parte della notte, il nonno sedeva alla sua scrivania, in inverno con un plaid sulle spalle ed un basco in testa, a leggere, studiare, scrivere. Dal balcone del salotto della mia casa vedevo la luce accesa nello studio del nonno e quando le persiane erano socchiuse, la lampada verde sullo scrittoio, ingombro di carte, lui, chino sui fogli, con la sigaretta in bocca ed i portacenere traboccanti di mozziconi.
Usciva per comprare i giornali e le sigarette e….appena fuori della porta, sistematicamente, suonava il campanello e riapriva con la sua chiave, lo sguardo perplesso di chi crede di avere dimenticato qualcosa!
Sulla parete del suo studio, in una bella cornice, c’era la medaglia al valore che aveva ricevuto per una azione eroica, guidando il suo plotone contro il nemico durante la Prima Guerra Mondiale. Mi ricordo che quando gli chiesi come si erano svolti i fatti, mi rispose che non si era reso conto di nulla ed era andato avanti trascinandosi dietro i suoi soldati senza fermarsi!
Come abbiamo scoperto mio cugino ed io, frugando tra le innumerevoli cartoline, raccolte da lui in un bellissimo album, che mandava alla nonna da tutti i luoghi dove la guerra lo costringeva a spostarsi, il suo rapporto con i combattimenti, la sofferenza, il sangue, la morte che, inevitabilmente, con la guerra da sempre si accompagnano, erano da lui stranamente”non vissuti”. Da lontano, i suoi pensieri, la sua vita erano la famiglia, il primo atteso figlio, “Ninuzzo”, mio padre, la casa, gli amati libri. La sua realtà interiore era più forte di quella che lo circondava, la personale partecipazione a quest’ultima era quasi nulla. Credo che il suo senso del dovere gli abbia fatto assolvere scrupolosamente i suoi compiti di ufficiale ma penso che la sua estraneità nei confronti degli orrori che certamente lo circondavano sia stata la sua difesa la sua corazza. Nelle parole, nelle frasi che scriveva dal fronte si avverte la sicurezza,la certezza di ritornare nell’unica possibile dimensione di vita per lui!
Non parlava mai delle sue esperienze di guerra ed era rimasto un nostalgico del fascismo, a suo modo di pensatore e filosofo.Teneva sulla parete dello studio una fotografia di Giovanni Gentile che molto stimava e di cui apprezzava gli scritti. Frequenti erano gli scontri ideologici con mio padre, uomo di sinistra, e pur essendo due intellettuali, in queste occasioni sbraitavano ed urlavano sino a restare senza fiato! I figli,come si usava, gli davano del lei ed era comico per me sentire espressioni come:”Papa’, che cosa sta dicendo?”
I libri gialli”Mondadori”costituivano le sue letture di evasione e ne possedeva parecchi di cui,da piccola,guardavo le copertine e poi più tardi,cominciai a leggere.Mi è rimasto impresso nella memoria il primo che ho letto interamente,era intitolato:”Morte nell’acqua verde”. L’ ho ritrovato su una bancarella di libri usati qualche anno fa e naturalmente l’ho comprato e l’ho riletto, meravigliandomi di ricordare così bene la trama, i personaggi, gli ambienti.
Mia zia Lorenzina mi ha raccontato che era molto geloso della nonna che aveva conosciuto ed immediatamente amato, un autentico colpo di fulmine come mi diceva lui. L’aveva incontrata con le sue sorelle, non so in quale circostanza,e pur essendo le sorelle tutte ragazze graziose, subito lui l’aveva distinta dalle altre ed avvertito una emozione ed un fremito profondo che avevano determinato la sua scelta. Ho sorriso con tenerezza quando il nonno mi raccontò che uno dei suoi ricordi più belli era stato quando le aveva visto una caviglia mentre saliva in carrozza!
Si sentì smarrito quando morì la nonna,il convoglio funebre passò, prima di arrivare al cimitero, davanti la casa dove era vissuta da ragazza e il nonno non fu più lo stesso. Nei primi tempi visse da solo, accudito dalla vecchia cameriera Peppina che si lamentava che lui volesse sempre la tavola imbandita con piatti di sardine, olive, formaggio,”rafanelle”di cui era ghiottissimo.
Continuava a leggere e a studiare, scriveva su una macchina da scrivere e quando io,che ero all’università, con stupida leggerezza gli chiesi di darmela, lui mi rispose che preferiva darmi i soldi per comprarla ed infatti acquistai una macchina Olivetti con la quale ho scritto per moltissimi anni,che ho fatto riparare e che su uno scaffale basso di una libreria, protetta parzialmente da un panno azzurro, mi guarda, in questo momento, con i suoi tasti neri punteggiati dalle lettere.
Si sentiva molto solo, era contento quando lo andavamo a trovare e riusciva sempre a sorridere. A distanza di moltissimi anni lo ricordo con tenerezza e penso che, forse, avremmo dovuto essergli più vicini. Negli ultimi tempi, venne ospitato a casa di mia zia Lorenzina e poi da mio zio Mimmo dove declinò di giorno in giorno, senza soffrire molto e continuando a leggere. Sul suo comodino, dopo la sua morte, c’era ancora il GATTOPARDO con una cartolina che faceva da segnalibro tra le pagine.
Mia zia Giovanna, che gli fu accanto nei suoi ultimi momenti, mi confidò che lo aveva sentito recitare il Padre Nostro con grande trasporto.
Si era fatta sera e Lui gli era vicino.
( fine. )

sabato 17 maggio 2008

Presentato al Convitto Nazionale un prezioso quadro restaurato

Stamani al Convitto Nazionale, nella sala Teatro, è stato presentato un prezioso dipinto restaurato di Francesco Calamoneri.

Al pubblico palermitano il quadro, che raffigura la Madonna mentre porge la bandiera missionaria a S. Ignazio di Loyola, è stato presentato anche dal prof. Nino Vicari, presidente della Fondazione "Salvare Palermo".
(Nella foto, il prof. Vicari è tra il Rettore del Convitto e il prof. Vincenzo Scuderi).
Sponsor del restauro sono stati lo stesso Convitto Nazionale e l’arch. Giuseppe Scuderi che di questa Scuola è stato alunno e che è considerato il maggiore esperto della storia del Collegio Massimo dei Gesuiti. Cioè dell’enorme complesso architettonico che, oltre al Convitto, ospita la Biblioteca Centrale della Regione e uno dei plessi del Liceo Classico Vittorio Emanuele II. Dello storico Liceo cittadino, cioè, che fu scuola per Luigi Pirandello e per tante delle illustri personalità che furono e sono protagoniste del più vivace mondo culturale palermitano.

Da “La Repubblica di Palermo”, oggi 17 maggio, si possono apprendere molti dettagli sulla storia dell’Autore e del suo dipinto tornato alla primitiva bellezza. (l.f.)

Frugando nello scrigno della memoria, di Augusta Modica, parte quarta.

( ...le nostre passeggiate mattutine nei boschi a Ficuzza...)
Era un desiderato diversivo andare a trovare le nostre prozie suore: Suor Giovanna,Superiora nell’Istituto S.Lucia e Madre Veronica, Generalissima Madre nel Collegio di Maria al Borgo, le suore ci circondavano;chi offriva dolci, chi chiedeva cosa volevamo, chi ci portava in giardino.Correvamo per le ampie sale, dove incontravamo grandi statue della Madonna, di Gesù, dei Santi e per i lunghi corridoi sui quali si spalancavano finestre che davano sui cortili interni. Non eravamo una noia o un disturbo per gli adulti che ci intrattenevano in tanti modi fantasiosi e divertenti.
Nessuna delle sorelle di mio nonno si era sposata (si raccontava in famiglia che il mio trisnonno fosse molto geloso e possessivo), tre erano diventate suore. Quella che conobbi di meno era la zia Madre Rosa , suora nel convento di Padre Messina al Foro Italico. Erano rimaste “signorine”, la zia Laura e la zia Ninfa che abitavano nell’antica casa di famiglia a Partinico nella piazzetta che si chiama anche oggi: Largo Modica. La zia Ninfa si ammalò di pleurite e per lunghi mesi fu ospite di suo fratello. Stava a letto indossando una vestaglia azzurra e, con modi dolci e garbati mi raccontava le storie dei santi bambini: Domenico Savio, la beata Imelda Lambertini etc..Sempre garbatamente e dolcemente morì qualche tempo dopo.
La nostra prediletta, di mio cugino e mia, era la zia Veronica; allegra e affettuosa ci faceva trovare per Pasqua le “Pecorelle” di martorana con le bandierine rosse piantate sul dorso.Era sempre contenta, mi confidò un giorno in cui ricorreva l’anniversario della sua monacazione, che non se ne era mai pentita,volle che accettassi per suo ricordo un libro di preghiere con incrostazioni di madreperla, lo tengo sul mio comò in camera da letto, e due rosari antichi in filigrana e spero sappia come ho recitato il rosario, pregando ora con l’uno ora con l’altro, insieme alla mia amica Anna nelle nostre passeggiate mattutine tra i boschi a Ficuzza( nella foto sopra, l'attuale piazza di Ficuzza).

La zia Giovanna, vissuta sino a tarda età, ricordava e recitava a memoria interi canti del Paradiso di Dante. Non dimenticava nessuno della famiglia di cui chiedeva sempre notizie; fu felicissima quando nacque mio figlio David, assistette al suo battesimo e ci veniva incontro festante con il suo girello che scivolava sul pavimento lucido, quando andavamo a trovarla.
Le nostre prozie descrivevano la loro vita in famiglia e le serate trascorse serenamente intorno al tavolo, illuminato dai lumi a petrolio, mentre il nonno leggeva ad alta voce, romanzi e racconti. Anche il nonno rammentava queste letture e i suoi tentativi, vani, di leggere, appena sposato, ad alta voce anche per la nonna che regolarmente….si addormentava! ( 4, continua ... )

Il sessantennale restauro di Maredolce.

Secondo calcoli credibili occorreranno da 10 a 12 milioni di euro per portare a termine il sessantennale restauro del Castello di Maredolce e del circostante parco arabo a Brancaccio. Un restauro dalle varie sfaccettature e dalle valenze molteplici ove lo si consideri sotto gli aspetti storico-artistici, culturali , turistici e, soprattutto, sociali. Ma pure essendo stata accreditata la somma di 3 milioni di euro (stanziata nel 2006 dalle briciole di Agenda 2000) sarebbe ancora in corso la revisione prezzi per il successivo invio del progetto di appalto all’Ente competente.
Nella foto di elle&effe, una parte del restaurato complesso monumentale.

venerdì 16 maggio 2008

la finestra sulla finestra

L'area Quaroni intravista dall'esterno il giorno in cui crollò parte del muro di cinta su Discesa dei Giovenchi. (ph. elle&effe)

Frugando nello scrigno della memoria, di Augusta Modica. Parte terza.

La nonna,da ragazza,aveva studiato al Collegio Whitaker di Palermo da educanda, e, quei tempi, non era molto consueto che una ragazza frequentasse una scuola sino a conseguire un diploma. L’ho vista in una vecchia fotografia con le sue compagne; indossava la divisa del collegio,elegante e un po’ altera, orgogliosa, io credo, di essere una fanciulla molto privilegiata. Conservava, da anziana, la sua grazia timida di “signorina” e l’ho vista spesso arrossire e schernirsi quando il nonno rumoroso ed espansivo, l’abbracciava.Con il buono e cattivo tempo,tutte le mattine,si metteva il cappello e andava in chiesa,e partecipava alla messa per adempiere ad un voto fatto durante i lunghi anni di attesa, senza alcuna notizia, del suo secondo figlio, mio zio Vito, internato in un campo di concentramento tedesco per tre anni e ritornato a casa, vivo ma magrissimo, pesava quaranta chili! Pregava anche per suo marito che, professore di storia e filosofia, si dichiarava non credente. Aveva pochi capelli bianchi sempre ben ravviati e portava degli orecchini di scaglie di brillanti”rosette”come li chiamavano, che mia madre, dopo la sua morte, si fece dare per me, dalla zia Lorenzina, una delle due sorelle di mio padre. La nonna Sara mi aveva già regalato la sua bella spilla di brillanti ed un braccialetto di smalto nero con delle perline incrostate che io indossai, ero una ragazza, per la prima volta, con uno chemisier di lana seta color prugna ad una riunione di famiglia a casa dello zio Vito. Mi avvicinai al nonno e gli chiesi se riconosceva quei gioielli, lui mi guardò e rispose :”Si, certo, certo”con un sospiro ed un bel sorriso sulla sua faccia luminosa di vecchio sano, nonostante il fumo.
I libri del nonno, a me ed Attilio bambini, sembravano quasi animati, con le illustrazioni che prendevano vita sotto i nostri occhi. Sedevamo intorno al tavolo coperto di fogli, giornaletti e tutti i nostri giochi che erano sempre qualcosa da fare e costruire.
Mio cugino era un bel bambino con i capelli di un biondo quasi albino e la carnagione chiarissima, mentre io, con un viso grazioso, modi molto accattivanti ed una intelligenza vivace, consapevole di essere la maggiore, con qualche dispetto tenevo sempre desta la sua attenzione, quando fu costretto a mettersi gli occhiali da vista temeva, a ragione, di essere schernito da me, irritato dalle mie risatine e dai poco simpatici commenti, indispettito e quasi con le lacrime agli occhi, ribattè: “….e allora,tu sei perfettissima?!”
Guardavamo le nuvole disposte a corimbi nel cielo azzurro e ci dicevamo:”Guarda, è GIOVANNINO SEME DI MELA!”
Leggevo con lui i fumetti di “Pecos Bill”, un cowboy biondo e sempre vittorioso, sfogliavamo ,con grande delicatezza,i libri del nonno, il nostro preferito era “L’Isola Misteriosa” di Giulio Verne, non ci stancavamo mai di guardare le figure e di ascoltare il nonno che ce ne leggeva interi capitoli, prima che fossimo in grado di farlo da soli. Gli adulti facevano corona intorno a noi, eravamo come dentro un cono di luce, agghindati e vestiti con grande cura e mia madre, che era una bellissima donna bionda e alta, molto più bella di quello che sarebbero state mai le sue figlie, trascurava se stessa per scegliere e ricamare “abitini”come se fossi una bambola!
In una sua lettera, mio padre le raccomandava:”…non parlare in dialetto davanti alla bambina, non dimenticarti di metterle il profumo nei capelli…”
Mio cugino ed io siamo stati fotografati dai nostri genitori, insieme, sulla spiaggia, ai giardini pubblici, a casa. E infatti abbiamo tante fotografie dove siamo solo noi due. Dovunque attiravamo l’attenzione; più per i nostri modi, per quello che dicevamo, delle favole, dei libri di cui parlavamo, che per il nostro aspetto, e nel mio svagato, felice, inconsapevole mondo, non percepivo la sofferenza, la gelosia, l’invidia che nell’ombra covavano in chi non entrava nel” cono di luce”. Insieme,mio cugino ed io, eravamo al “completo”, tutti presi in questo girotondo armonioso che rendeva felici noi e quelli che ci amavano. ( 3, continua...)

giovedì 15 maggio 2008

sic transit gloria mundi

Ci hanno informato che il 9 maggio la ghirlanda era stata solennemente deposta ai piedi di una lapide che ricorda la tragica fine di un integerrimo funzionario regionale dell'assessorato alla Cooperazione ucciso - il 9 maggio di 19 anni fa - da mano criminale.

Let the sunhine in (Area Quaroni)


Oggi, 15 maggio, alle 8 del mattino, il sole entrava così al "Chianu ri santu Nofrio". E l'assessore al Centro Storico del Comune di Palermo ha detto che qui ci vedrebbe "una struttura commerciale ben fatta". Cerchiamo di fermarlo
(foto e testo di Giuseppe Scuderi)

Il senso della vita

Per questo palermitano, guadagnarsi onestamente e faticosamente il suo diritto a esistere è lavare le scale altrui, anche la domenica, nel quartiere mandamento del Monte di Pietà.(ph.elle&ffe)
Qualcuno ha qualche commento da fare?

Frugando nello scrigno della memoria, di Augusta Modica. Parte seconda.

(l'odore di fumo...)

In tutto l’appartamento stagnava l’odore di fumo delle innumerevoli sigarette fumate dal nonno, le tende, i cuscini, i divani ne erano impregnati, era un odore pulito e freddo perché la nonna, con la sua cameriera Peppina, vuotava e lavava continuamente i posacenere, lasciando spesso aperte le finestre ed i balconi ma era quasi fatica sprecata perché l’aroma persisteva nell’aria e specialmente la stoffa di seta verde, pieghettata lungo i bordi, dei cuscini sul divano del salotto- studio, dipinti a mano e raffiguranti signore di profilo riccamente vestite, odorava di tabacco quando vi poggiavo la guancia o la carezzavo per sentire come era liscia e morbida. C’erano anche delle pietruzze colorate, orecchini e collane delle belle dame, cucite sui cuscini.Odore di caffè si mescolava con quello delle sigarette perché il nonno ne beveva parecchie tazze al giorno, chiamando dallo studio,a gran voce la nonna:”Sara, il caffè!”E questo richiamo,più volte ripetuto,suscitava l’ilarità di tutti che,per scherzo,facevamo l’imitazione del nonno.La nonna arrivava, lungo il corridoio, con la tazzina.”Bi,Bi,Bi”diceva , esprimendo di volta in volta, con questa interiezione tipicamente sua, stati d’animo differenti.La sua immagine, nel mio ricordo, è accompagnata dal suono di questo monosillabo, ora fievole, ora più forte, a secondo della sua vicinanza. Sempre in movimento ma mai affannata, riusciva a terminare, nell’arco della giornata, tutte le sue faccende, che non dovevano essere poche con cinque figli, un marito da accudire ed una casa che teneva sempre ordinata e pulita. Per Santa Lucia,i l 13 Dicembre, rispettando una tradizione siciliana, preparava le arancine di riso e carne per tutti noi e, nelle varie case, arrivavano le “arancine della nonna”in vassoi di cartone avvolti nella carta, accuratamente legati con lo spago. La sera, quando finalmente si sedeva su sedie e mai su una poltrona, mentre si stava insieme, cadeva addormentata, reclinando la testa e cominciando a russare, in quella scomoda posizione, per qualche minuto. Confessava che quei pisolini erano il suo “miglior sonno”. Era la nonna, una vecchietta magra e di bassa statura, sempre linda nei suoi vestiti scuri, strascicava un poco i suoi piedini da bambola, poco più grandi di quelli di una bambina; ed io lo so bene perché ho donato al” Museo del Giocattolo e del Costume”di Pietro Piraino a Bagheria i suoi stivaletti di raso bianco con i tacchi a rocchetto, abbottonati con i bottoncini infilati nelle asole, proprio quelli indossati nel giorno delle sue nozze. Tengo, con molta cura, una bambolina vestita di seta rosa con guarnizioni di merletto al collo e sulla gonna, i capelli, veri, tagliati corti con la frangetta; era la bambola della nonna, un graditissimo regalo da parte della zia Lorenzina che,dopo avermi vista in televisione al Museo del Giocattolo, circondata da bambini e bambole, ha voluto che ricevessi, con i suoi affettuosi complimenti per il mio lavoro, questo delizioso dono.La mia cara zia mi ha raccontato che la nonna, bambina, aveva ricevuto la bambola per la “Festa dei Morti”,giorno nel quale,secondo una antica tradizione siciliana,i bambini trovavano,nascosti nella casa per le varie stanze e nei luoghi più impensati, giocattoli, dolci di martorana e le”Pupaccene”,statuette di zucchero,talvolta create da veri artisti,i Doni dei Morti!Il padre era andato a Palermo per comprare la bambola per la figlia, perché,a Partinico, dove abitavano, non avrebbe potuto trovare un giocattolo così raffinato.
Mi sono spesso chiesta, quando le tolgo la polvere dai capelli e sfioro la morbida seta rosa e i merletti , come una bambina abbia potuto giocare con questa bambola senza sciuparla o rovinarle il vestito o il bel visino! ( 2, continua... )

mercoledì 14 maggio 2008

Frugando nello scrigno della memoria, di Augusta Modica. Parte 1

(un telefono nero, grande e misterioso...)


Andavamo, per le vacanze di Natale, a stare dai nonni e venivano trovate soluzioni di fantasia per sistemarci tutti, io, bambina di tre o quattro anni, dormivo su sedie accostate tra di loro con un materassino sopra, nella stanza da pranzo e non mi sembrava affatto scomodo, anzi ero felice di dormire in quella camera ampia con le credenze di legno ben lucidate, dove c’erano piatti e bicchieri di forme e colori diversi e anche un servizio da caffè che attirava la mia curiosità perché vi era raffigurato un arcigno signore in divisa accompagnato da una signora dal volto bianco e delicato che più tardi seppi essere Napoleone con Giuseppina.
Sulla parete, di fronte la porta, c’era un quadro ad olio raffigurante una pastorella, in un bel prato verde, con un fazzoletto annodato sulla nuca che, per gioco, teneva in una mano, con il braccio alzato, dei ciuffi d’erba, mentre un agnellino alzava il muso verso di lei.
La casa dei nonni era un appartamento di città in una bella strada ampia,l a via Lascaris, vicina a Corso Olivuzza, nella zona del Tribunale. Le stanze erano ampie e con i soffitti alti, la cucina aveva una grande finestra ed un tavolo con il piano di legno grezzo,sempre un po’ umido, dove mi costringevano a fare colazione; un tazzone di latte e caffè con pezzi di pane che si incollavano tra di loro. La stanza da bagno, con mobili chiari e la dentiera rosea del nonno dentro un bicchiere posato su una mensola, che sbirciavo perplessa sollevandomi sulle punte dei piedi, conteneva una enorme vasca che poggiava sul pavimento con grosse zampe feline, dava l’impressione di non essere affatto immobile ma pronta a correre via all’improvviso.
Nell’ingresso, varcata la porta, lo sguardo cadeva su un oggetto che non ero abituata a vedere; un telefono nero, grande e misterioso su un tavolino circondato da un piccolo divano e qualche sedia con lo schienale di legno scolpito e le sedute di corda intrecciata. Anche in questa stanza la sala d’ingresso, c’era una libreria e libri erano dovunque ,libri tappezzavano le pareti dello studio del nonno che aveva un balcone sulla strada dove c’era una sola pianta; una pomelia con fiori elegantemente bianchi e profumati in autunno In inverno,la nonna metteva dei gusci d’uova sulle punte dei rami per proteggere le gemme. Lo studio era a sinistra della porta d’entrata, giornali e riviste sulla scrivania,”L’Uomo Qualunque”,un quotidiano sul quale venivano pubblicati gli articoli del nonno, attirava l’attenzione preoccupata di me bambina,perché sulla prima pagina a destra in alto, si vedeva un uomo anziano,stritolato da un enorme torchio o da una macina che, invano, tentava di sfuggire a questa tortura.
Appena arrivata, entravo correndo lungo il corridoio ad elle, sino alla stanza da pranzo e, proprio,in una di queste occasioni,ebbi una delle più belle sorprese della mia infanzia: sotto il quadro della pastorella,c’era un grande albero di Natale con le palline colorate di vetro soffiato e le candeline di cera.La mia emozione fu così forte che rimasi, per pochi istanti,immobile e senza parole.Non ebbi il coraggio di entrare, con un dietro front corsi lungo il corridoio verso i miei genitori, gridando dalla gioia.
Si mangiava tutti insieme, i fratelli e le sorelle di mio padre con le loro famiglie, io ero la prima dei nipoti, molto desiderata e molto amata, anche perché la bambina, nata prima di me, era morta al momento della nascita. Il secondo nipote era mio cugino Attilio, nato qualche mese dopo di me, anche lui molto amato perché maschio,come tutti speravano e si aspettavano.Il nonno “Ciccio” come lo chiamavamo,era un vecchio calvo ma con un personale asciutto e abbastanza alto,sempre allegro e colorito, specialmente quando ,a capotavola, sedeva a presiedere un pranzo con tutta la famiglia dove venivano serviti i pochi piatti, pochi ma ottimi,che la nonna tradizionalmente preparava:la pasta con le sarde,condita con il pane grattato abbrustolito, il lacerto con le patate etc..Non sempre queste portate squisitamente siciliane,incontravano il gusto di noi bambini e allora il nonno,per farci mangiare, con una mimica espressiva delle mani ed un sorriso ammiccante raccontava che se non finivamo presto sarebbe venuto un gattino che, balzato sul tavolo, avrebbe infilato il musino nel nostro piatto e allora noi, per fare un dispetto al gattino avremmo dovuto finire in fretta la nostra porzione, così lui non avrebbe trovato niente! ( parte 1 , continua... )

martedì 13 maggio 2008

FRAGOLE...fragoline, di Augusta Modica


Il primo regalo di Otello alla candida Desdemona;un fazzoletto ricamato con delle fragole,così squisitamente lavorato che l’incauto Cassio vuole farne copiare il delicato disegno per se.Secondo il racconto del Moro,esso ha un potere magico:le fragole sono state ricamate da una zingara,una egiziana,una maga che aveva il dono di sapere leggere i pensieri nella mente di uomini e donne.Senza sosta ha lavorato,curva sul telaio,giorno e notte,intrecciando i fili sottili,per poi preparare una mistura nella quale intingere i frutti ,imprigionando,nel rosso succoso,un richiamo d’amore.
La storia fantastica,enfatizzata dalla crescente,primitiva gelosia di Otello è di un accattivante fascino;tutte le parole contengono un significato misterioso ed evocativo:Il modo con il quale il fazzoletto è stato tessuto e l’esecuzione lenta e accurata del ricamo,adatti ad esprimere un incantesimo arcano,mostrano le fragole spuntare una per volta sulla candida seta.
Questi minuscoli frutti dal sapore profumato,devono essere raccolti da dita lunghe ed elastiche,capaci di raccoglierle senza sciuparli,per poi adagiarli in cestini foderati di grandi foglie verdi.E’ uno dei preziosi regali della primavera inoltrata,quando il sole,più caldo,fruga con i suoi raggi tra i fili d’erba e i cespugli,raggiungendo le piccole piante che macchiano di rosso il verde intenso delle foglie. Sembrano,nella loro leggiadra fragilità,contemporaneamente fiore e frutto, e,nel sapore,che soltanto un palato raffinato può gustare,si sente,sottinteso,un aroma fresco e voluttuoso come un bacio.Le lenzuola della bellissima Angelica,nel “Gattopardo”,dice Don Ciccio al Principe di Lampedusa,devono avere la fragranza delle fragole!
Nel Veneto,si chiama “Clinton” un vino leggero e inebriante,solo qualche contadino lo produce e non è in vendita.Nel suo gusto è chiuso l’odore e il sapore delle fragole di bosco,assaporandolo lentamente e attentamente,rimane sulle labbra con il suo gusto insolito e particolare.Non si stappa con facilità una bottiglia di questo vino;portato solennemente a tavola,suscita tutto intorno un giro di sorrisi!E, nelle pasticcerie,le pastine,ricoperte di panna con le fragoline semiaffondate nel bianco spumoso o i grandi coni gelati,al gusto di fragola,con i puntini rossi che si intravedono,invitano i golosi a consumare dolcissimi peccati alla salute della primavera!

lunedì 12 maggio 2008

Citazione.

Chi possiede una fotocamera di gran marca
non è necessariamente un fotografo.
Quello che è certo è soltanto che egli possiede
una fotocamera di gran marca
(Public Domain)

Vade retro



Va da sè che è solo per via della deformazione ottica dovuta all’obiettivo usato (ph. elle&effe) che i palazzi più vicini pare vogliano indietreggiare, scostarsi, tirarsi indietro rispetto a un perenne letamaio. Quello, invece, assolutamente reale che si forma e si riforma ai piedi del bastione dello Spasimo.
Sotto una fortificazione superstite che si affaccia sulla Piazzetta del Pallone, storica ma anch’essa fortemente degradata. Storica perché pare proprio – e la toponomastica incoraggia in tal senso - che da quelle parti i palermitani abbiano, secoli addietro, iniziato a giocare con uno speciale e gigantesco pallone , da remoti progenitori del calcio moderno. (l.f.)

domenica 11 maggio 2008

LA CITAZIONE: I MOSCONI.

"Deh parliam de' mosconi,
quanta grazia abbia il ciel donato loro,
che trafficando merda si fan d'oro".

Da un sonetto del poeta quattrocentesco Domenico di Giovanni detto il Burchiello.

sabato 10 maggio 2008

I MERLI DELLA CATTEDRALE




I merli della cattedrale non sono uccelli. Non sono volatili simili alle cornacchie che nidificano sulla Torre di Londra. E che sono al centro della leggenda metropolitana secondo la quale lo stesso giorno in cui i pennuti abbandoneranno la Torre, entro quel giorno la torre cadrà. Un segnale di pericolo provvidenziale per quanti potranno mettersi in salvo insieme ai gioielli della Corona custoditi nel fortilizio.
Diversamente, i merli della nostra Cattedrale non sono uccelli capaci di volare ma sono parti della sacra muratura che sono però altrettanto capaci di volare giù, cioè di cadere su qualcuno o qualcosa, ove fossero lesionati seriamente. E qualche dubbio, in merito, qualcuno deve averlo avuto e deve continuare ad averlo considerato il fatto che una fonte molto autorevole e seria – peraltro con grande esperienza in fatto di restauri - ci ha fatto pervenire un lungo documento sui restauri di cui hanno bisogno parecchie ( troppe) opere d’arte cittadine. Da quel testo abbiamo estratto queste righe che compaiono proprio all’inizio del corposo documento:

Nel contesto delle circa 50 perizie “di somma urgenza” (di cui appresso) sempre giacenti in
Assessorato, attendono ancora riscontro le quattro della Soprintendenza di Palermo, tra cui,
dal 2006, quella più volte citata, dei merli pericolanti della Cattedrale.

Perizie chieste dai massimi competenti in materia e delle quali ora veniamo a sapere da parole chiare che ci pare non abbiano bisogno di ulteriori commenti.
E così - come per tante cose di questa città che non ci persuadono o che proprio non vanno - non possiamo fare altro che limitarci al solito mesto augurio che nell'occasione ci pare anche il più appropriato:"Speriamo bene, e che Dio ce la la mandi buona !"

venerdì 9 maggio 2008

Una memoria vera del 9 maggio del 1943. Dalla Redazione.

La gabanella antibomba dell’apprendista falegname.


“Bombe a strafottere”. Secondo Vincenzo C., che nel 1943 era dodicenne apprendista falegname in una fabbrica di via Lascaris, il 9 maggio di quell’anno bombe dirompenti e incendiarie ne caddero quante gli alleati ne avevano sganciate a partire da gennaio. Un’infinità di ordigni da mezza tonnellata, assolutamente impensabile al momento in cui, quella tragica domenica, lui e il “principale” Benedetto Bellavista dovettero smettere all’improvviso di sistemare sul tetto della segheria le tegole spostate dalle onde d’urto. Perché un piccolo aereo, proveniente dalla parte di Boccadifalco, aveva cominciato a roteare sul quartiere lasciando cadere tanti foglietti colorati.
Quasi per gioco il ragazzino ne acchiappò uno al volo e lo porse al principale. Ma lo colpì subito l’aspetto allarmato di quest’ultimo che gli disse: “Vatinni a casa, Viciuzzu, perchè oggi succederanno cose brutte”. Si trattava dei volantini che misero inutilmente in guardia dagli imminenti bombardamenti la gente che quella stessa mattina, davanti a Palazzo Riso, fu pure costretta a festeggiare la giornata dell’impero che non c’era più. Vincenzo ebbe appena il tempo di arrivare al portone di casa prima che si scatenasse l’inferno intorno all’edificio affacciato sulla depressione di Danisinni.
“Quattrocento se ne andavano e quattrocento ne arrivavano”. Lui li ricorda ancora così gli stormi dei liberators che, ad ondate interminabili, quel 9 maggio di bombe ne sganciarono quattromila. Allucinante preludio ad un seguito d’esperienze che segnarono per sempre il piccolo falegname. A cominciare dal fatto che intorno alla palazzina dove egli abitava con altri diciassette parenti furono molti gli ordigni che si conficcarono nel terreno senza scoppiare. Ciò che non fu nemmeno una fortuna. Perché, non si capì come, uno degli ordigni esplose da solo e uccise tre passanti nelle prime ore del mattino successivo. Quando finalmente quei malcapitati palermitani che non avevano dove “sfollare”, in vista della possibile esplosione delle altre bombe che luccicavano sinistramente da ogni parte, decisero d’abbandonare agli sciacalli il poco che possedevano.
Purtroppo al signor Bellavia non fu concesso di tornare in fabbrica. Morì all’ospedale della Rocca, dove lo trasportarono con un carrettino. Ma il ragazzo questo lo seppe solo la mattina appresso, quando trovò la fabbrica senza la porta che lo spostamento d’aria aveva scaraventato come un proiettile proprio addosso al principale. Fu così che, dopo aver recuperato la gabbanella quasi nuova e la cassetta degli attrezzi, Vincenzo tornò indietro sconvolto, imbattendosi però subito nell’amico Paluzzu, apprendista decenne senza più un maestro anche lui.
Un incontro che sarebbe stato meglio non fosse avvenuto. Perché non sapendo dove passare la mattinata entrambi decisero di andare al Capo. E in particolare nell’irriconoscibile quartiere degli scarparelli dove decine di artigiani avevano perso la vita. Mentre non erano stati più fortunati gli abitanti delle vie Gioiamia e dei Carrettieri, nei paraggi della Chiesa dei santi medici Cosma e Damiano incapaci di curare dall’altare tutti quei parrocchiani feriti.
Ma successe proprio davanti alla chiesa dell’Angelo Custode, anch’egli evidentemente con troppa gente da proteggere, che un picciuttazzu mai visto li convinse a recarsi a San Saverio. “A vedere i morti” che in quell’ospedale erano stati portarti dai soccorritori. Specialmente dagli uomini dell’Unpa, che nei lunghi corridoi i corpi li avevano buttati scompostamente uno sull’altro o li avevano sistemati a pezzi dentro i cestoni del letame.
Fu in quello scempio che i due amici notarono un mastru di loro conoscenza, coperto di polvere bianca. Stecchito come una statua di marmo e con la gabbanella ancora indosso. Un particolare non cruento che comunque fece assai impressione a Vincenzo e che, fino all’entrata in città degli americani, gli suggerì di prendere certe ingenue precauzioni tutte le volte che le sirene dell’allarme annunziarono bombe. Me lo confermò con un malinconico sorriso un paio di giorni fa, quando gli chiesi di parlarmene ancora una volta. Ma si fece serio nel ricordare la fine del suo fragile compagno di strada. Una di quelle tragedie “minime” delle quali dovrebbero tener conto quanti stanno dalla parte dei capi di stato che vorrebbero risolvere i problemi del mondo con i “bombardamenti chirurgici”. Disse che il bambino non riuscì ad accettare tutto quell’orrore. Fu colto da una crisi epilettica e la sera lo portarono in Via Pindemonte. Nel manicomio dal quale uscì avvolto in un lenzuolo.Ucciso dal terrore. “Mortu ‘i scantu” rimarcò Vincenzo C. nel suo impagabile dialetto di una volta.
Di lui so invece che - ingenuamente convinto di potere così evitare la stessa fine del vecchio maestro sepolto col suo impolverato soprabito da lavoro - la gabbanella non mancò mai di togliersela e di buttarla via ogni volta che dovette scappare dalla nuova bottega verso il rifugio più vicino.Anche quando a scaricare le bombe sulla città furono infine gli aerei italiani. Un tenero rito propiziatorio che in ogni caso gli portò bene. Tipico del sensibile amico d’oggi. Del bravo artigiano che abita nel mio quartiere e che talvolta si fa sentire al citofono. Ma di rado accetta di salire in casa. Se ne scusa, dicendo d’avermi chiamato solo per sentire la mia voce.

Lucio Forte

9 maggio 1943 - 9 maggio 2008

Ricorre oggi uno degli anniversari cittadini tra i più terribili. Era circa mezzogiorno del 9 maggio 1943 quando centinaia di bombardieri delle truppe alleate presero a sorvolare la città, il suo centro storico e le installazioni ferroviarie e marittime, effettuando un bombardamento a tappeto paragonabile a quelli di Coventry e Guernica. Centinaia di migliaia di palermitani persero le abitazioni ma ancora più tragico fu il numero dei morti tra la popolazione civile. Ne fu agghiacciante ed eloquente testimonianza la Mostra fotografica allestita il 9 maggio del 2003 dalla Fondazione "Salvare Palermo". Una mostra adesso itinerante tra gli alunni delle scuole palermitane e siciliane.
Alcuni quartieri sono rimasti segnati fino ad oggi dalla presenza di ruderi dovuti alle bombe del 1943. Esemplare il rudere di Piazza Magione-Spasimo nella foto (ph. elle&effe) allegata sopra. Molti di quei ruderi fino a questi giorni sono stati abitati dai nostri "ultimi della terra" e non è escluso che ci siano ancora dei palermitani che vivono in abitazioni fatiscenti a causa dei bombardamenti alleati.
Già nel 1988 il vice sindaco Aldo Rizzo - mentre era più viva la polemica sulla ricostruzione del centro storico - ebbe a definire quelle pericolanti abitazioni "pietre della vergogna". Mentre è di ieri la notizia che in via Vetriera alla Kalsa , a lungo strada simbolo della Palermo più dimenticata,uno stabile compromesso da quelle bombe e da anni di incuria è stato sgomberato perchè minacciava di crollare.

giovedì 8 maggio 2008

COME ERAVAMO.

Era il 6 luglio 1986. E purtroppo non tutto a quel tempo si tingeva di rosA. nemmeno nella squadra del cuore.

Vespertino e Benassai all'Agricantus

ALLAFACCIANOSTRA
SognoParadosso CON PARIDE BENASSAI E SERGIO VESPERTINO
A Grande Richiesta proseguono ancora le repliche dello spettacolo venerdì 9 e domenica 11 MAGGIO ore 21.15
POSTO UNICO NUMERATO intero 13 euro ridotto under30over60, residenti della Provincia di Palermo, Cral, Ideanet e Diamond Card (ven. e dom.) 10 euro + 1,00 diritti di prevendita
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E' consigliata la prenotazione e l'acquisto in prevendita. Per informazioni 091.309636

mercoledì 7 maggio 2008

CURVA MINORE

CURVA MINORE CONTEMPORARY SOUNDS
Stagione 2007-2008
IL SUONO DEI SOLI – X edizione


9 maggio
SONATAS ET INTERLUDES
Cantieri Culturali – Goethe Institut (via Paolo Gili 4, Palermo)
ore 20.30 conferenza
ore 21.15 concerto
Biglietto: 4 euro
Giancarlo Simonacci pianoforte preparato

Concerto inaugurale della rassegna di Curva Minore "Il Suono dei Soli - X edizione".
In allegato il comunicato stampa e una foto.


Ufficio Stampa:

Daniele Sabatucci

giornalista free-lancee-mail: daniele.sabatucci@gmail.comcell.: 3493591722

COME ERAVAMO.

Ci fu un periodo, purtroppo, nel quale in materia di munnizza non eravamo secondi a nessuno.
Dalla prima pagina del L'Ora del 5 gennaio 1987.

Ed ecco il quadro


martedì 6 maggio 2008

Invito ricevuto da Giuseppe Scuderi

Appuntamentoper le ore 10.30 di sabato 17 maggio,
al Convitto Nazionale.

Carissimi, con sincero piacere vi invito alla presentazione del restauro di un quadro a cui per più motivi sono affezionato: da ex studente del Convitto Nazionale e del Liceo Vittorio Emanuele, da studioso del Collegio Massimo dei Gesuiti (il grande edificio che comprende oggi Convitto, Liceo e Biblioteca), e, infine, da patrocinatore del restauro. Vi aspetto, grazie a tutti, Giuseppe Scuderi

Arch. Giuseppe Scuderi
Piazza San Giovanni Decollato 12, 90134

lunedì 5 maggio 2008

"L'autorizzazione è validità fino alla data indicata sul fronte..."

Finalmente anche a panormitan è pervenuto il bramato PASS ZTL.
Considerato però che lo stesso scrivente ha sicuramente frequentato le elementari ed ha perciò un minimo di conoscenza della lingua italiana, il medesimo - dopo avere letto le avvertenze scritte sul retro del pass - si chiede ora ( ma è semplice curiosità autorizzata dal prezzo versato) se il testo di tale avviso sia unico per tutti i pass che verranno rilasciati ai palermitani o se esso sia affidato all'iniziativa e alle conoscenze grammaticali e linguistiche dei gestori delle singole agenzie autorizzate al rilascio.
Per questo e senza alcun altro commento il nostro blog vi sottopone qui di seguito l'integrale( e si spera solo personale) contenuto delle citate avvertenze:

Rinascerà la Natività di Caravaggio ?

Secondo una notizia in attesa di conferma, un clone fotografico potrebbe sostituire la Natività del Caravaggio che quasi quarant'anni fa scomparve dall'Oratorio di San Lorenzo. Nella foto di questa pagina, risalente al dicembre del 2004, l'altare della stupenda chiesa è sovrastato dalla vuota cornice del capolavoro sulla cui sorte ultima sono state fatte le ipotesi più inquietanti.
Comunque già in passato, con lettere ai giornali, alcuni concittadini hanno prospettato il desiderio di vedere sostituita almeno con una copia la celebre opera d'arte.

domenica 4 maggio 2008

Videosorveglianza 2008

Giustissimo,ottimo provvedimento. Curioso però quell'uso "interno" della telecamera 24 ore su 24.

Il sapore della bistecca ovvero the taste of the steak

La foto appartiene alla festa multietnica tenuta a Santa Chiara il primo maggio, dedicata a tutti Sud del mondo. E naturalmente ai bambini dei sud di tutto il mondo, tra i quali si sa che c'è sempre un "ultimo" che viene dopo quell' altro che provvisoriamente ci era sembrato l'ultimo in assoluto.
L'espressione del bambino, che sembra pregustare la bontà della bistecca sul fuoco, mi ha infatti riportato indietro di tanti anni. Al tempo in cui andavo in giro con i miei compagni della scuola elementare Perez e più volentieri con i più poveri di essi.
Davanti alle vetrine fastosamente illuminate e ricche della scomparsa pasticceria "Citrolo" di via Maqueda, la stessa espressione ricordo nitidamente di averla colta più di una volta sul volto di molti dei miei piccoli e carissimi amici. Quelli che allora erano probabilmente gli ultimi della terra di questa città, seguiti poi dagli altri piccoli palermitani di Cortile Cascino, dai bambini che da liceale avrei incontrato nei primi anni Cinquanta intorno al letto di Danilo Dolci. (l.f.)

sabato 3 maggio 2008

Il nero dal bianco

Primo Maggio in Rua Formaggi. Scena di ordinaria desolazione.

venerdì 2 maggio 2008

Per il "rosa" della città.

Qualcosa di curioso e davvero splendido che la stragrande maggioranza dei palermitani non ha avuto modo di poter guardare da tanto vicino. E che (nella foto di Elle&Effe) il nostro blog - Ilrosaeilnero - ha il piacere di sottoporre all'attenzione di quanti ci onorano di una visita.

Comunicato di CURVA MINORE

Riceviamo e volentieri pubblichiamo:

CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DELLA RASSEGNA DEDICATA ALLA MUSICA CONTEMPORANEA

Martedì 6 maggio alle ore 17.15, nei locali del Goethe-Institut Palermo (via Paolo Gili 4 – Palermo, presso i Cantieri Culturali alla Zisa) si terrà la conferenza stampa di presentazione di "Il Suono dei Soli" - X edizione, la nuova rassegna dell’Associazione per la musica contemporanea Curva Minore.


Ufficio Stampa:

Daniele Sabatucci
cell. 3493591722
e-mail daniele.sabatucci@gmail.com

giovedì 1 maggio 2008

la palma recuperata


Questa palma del Foro Italico fa fortunatamente parte di un gruppo di piante salvate in extremis dagli attacchi del punteruolo rosso.
Un'evidente attestazione del fatto che quando li si vogliono davvero, i risultati non possono mancare. Appunto, basta solo volerli. (ph. Elle&Effe)

un mese per la ZTL


Riceviamo dall'Ufficio Stampa del Comune e pubblichiamo:
PASS ZTL UN MESE IN PIU' PER ACQUISIRE IL TAGLIANDO DA ESPORRE.
Nessuna proroga ma un mese di tempo in più agli utenti per munirsi del pass da esporre sul parabrezza dell'auto all'interno delle due zone a traffico limitato (Ztl) che, come stabilito dall'apposita ordinanza, entreranno comunque in vigore il 5 maggio.Lo ha deciso il sindaco Diego Cammarata per andare incontro alle esigenze dei cittadini aventi diritto che ancora non hanno acquisito il contrassegno necessario per circolare all'interno delle Ztl A e B. In base a questa nuova disposizione, che rientrerà in un'ordinanza modificativa attualmente in fase di definizione, le Ztl diventeranno operative regolarmente il 5 maggio ma fino all'8 giugno resterà "congelato" l'obbligo di esporre il pass sul parabrezza o sul cruscotto dell'auto.
Per chi ha già il pass l'esposizione del cartoncino è comunque opportuna anche durante il primo mese e consentirà agli interessati di evitare di essere fermati dai Vigili urbani in servizio per i controlli.
Nel primo mese di Ztl, chi possiede un'auto con i requisiti prescritti per accedere ai perimetri (auto almeno euro 3 nella Ztl A e almeno euro 1 nella Ztl B) potrà circolare anche senza pass e i Vigili urbani, in caso di controllo, consulteranno la carta di circolazione del veicolo per verificarne l'omologazione antismog.In questo primo periodo, quindi, le telecamere installate nei varchi video-controllati saranno utilizzate soltanto per dei test di funzionamento, non per verbalizzare le infrazioni, e i varchi stessi saranno presidiati dai Vigili che all'ingresso dei perimetri non faranno multe ma fermeranno i veicoli privi dei requisiti invitando i rispettivi conducenti a tornare indietro e, quindi, a non entrare nella zona a traffico controllato.
All'interno dei perimetri, invece, saranno regolarmente multate, in caso di controllo da parte dei Vigili, le auto comunque prive dei requisiti per circolare e per le quali, quindi, mancano i presupposti del rilascio del pass.