martedì 23 marzo 2010

Dedicato a Stromboli, l’isola dove puoi lasciare l’anima (di Augusta Modica, seconda e ultima parte)


L’aria di quei giorni di fine estate si faceva densa di profumati aromi che si disfacevano, mischiandosi con i primi impercettibili brividi dell’autunno, accompagnando le passeggiate di Pietro che cercava di “capire”l’isola che sontuosa, nera, immobile, lo ignorava, indifferente e lontana. Passando davanti ad un lussuoso albergo con grandi finestre, riconobbe la ragazza dalla borsa di cuoio, dietro il banco della reception che, ordinatamente, sistemava delle carte, rispondeva al telefono e si aggiustava gli occhiali sul naso. Aguzzando gli occhi vide scritto sul cartellino, appuntato sulla elegante giacca grigio scuro, il suo nome:Stefania, contemporaneamente lei alzò la testa, riconoscendolo e gli sorrise impercettibilmente, increspando le labbra, quasi per chiedere scusa… Si misero a parlare senza accennare al loro primo incontro e Stefania si mostrava compiaciuta e divertita dalla ingenua ammirazione di Pietro che sembrava ringiovanito, rianimandosi un poco, guardando le belle mani che sistemavano gli oggetti sul banco, agitando le lunghe dita.
Nel pomeriggio andarono in gita a Panarea e, finalmente, le franche risate di Stefania, il suo modo di accomodarsi il cappello sulla testa, dondolando i piedi nell’acqua, seduta sul bordo della barca, risvegliarono Pietro come da un profondo, buio coma.
L’isola li accolse festosamente, chiudendoli in un cerchio di colori smaglianti, superata la spiaggia si avviarono lungo un sentiero in salita su massicci scalini di pietra e, all’improvviso si trovarono su un’enorme piattaforma di pietra grigia dove erano tracciati, da sassi, ricordi di un lontanissimo passato; quello che rimaneva di un villaggio preistorico. Pietro sentiva battere il cuore dell’isola nel vulcano sommerso e volse il capo verso i fondali ad est dove il mare sembrava raccogliersi e distendersi. Guardandosi attorno vedeva gli scogli neri, luccicanti sotto il sole che tramontava, intingendo i polpastrelli infuocati nelle onde, sentiva le grida stridule dei gabbiani che immergevano le ali nel mare e, facendo l’amore con la ragazza che si stringeva a lui come per blandirlo e consolarlo, sentì che i grumi che gli indolenzivano il petto si scioglievano scomparendo lontano.
A sera inoltrata, tornarono verso casa tenendosi per mano, mentre Berto, aspettandoli, accanto al camino arrostiva i conigli, catturati la mattina per la cena e, più tardi con gli amici radunati attorno, mentre il vino e il pane sparivano rapidamente, continuava ad aggiungere legna al fuoco che guizzava allegramente e fumando senza sosta, guardava suo figlio con la bella ragazza. Stringendo le mani nodose continuava ad ascoltare le parole che gli rotolavano dentro, senza pietà, i suoi occhi azzurri diventavano più scuri:”No te conoce……porque te has muerto para siempre.”
La malvasia, bevuta abbondantemente, ingannandolo con il suo sapore dolce e accattivante, aveva fatto crollare Pietro che dormiva, russando pesantemente, sdraiato sul divano con la bocca socchiusa e le braccia spalancate, ora non sentiva le eruzioni del vulcano che, nella notte autunnale borbottavano in crescente sordina.
Spalancò gli occhi, svegliandosi, mentre il padre gli buttava addosso una coperta a strisce rosse.Qualcosa nell’atmosfera era cambiata; Berto appariva come tranquillizzato, i suoi movimenti erano contenuti e le rughe della fronte spianate, parlava sfiorando la testa di Geo poggiata sul suo ginocchio e come un fiume, le parole scorrevano allungandosi e disperdendosi.
Quello che diceva di se stesso, della vita vista attraverso le strette fessure azzurrognole dei suoi occhi, depositavano in Pietro una crescente tormentosa aspettativa.Una atroce nevralgia gli azzannava la testa facendogli battere le tempie, dal divano sentiva il rumore dei piatti e dei bicchieri che proveniva dalla cucina, il monologo del padre, monotono ed incessante, si interruppe per Pietro che si alzò barcollando verso la cucina, avvicinandosi a Stefania che con la testa girata e i lunghi capelli che toccavano l’acquaio, poggiava i piatti sgocciolanti sullo scolatoio, sentendolo arrivare si asciugò le mani sul grembiule, guardandolo con aria interrogativa e quasi di sfida… ma lo sguardo di Pietro la colpì come un proiettile e, per sfuggirgli, corse verso il sentiero mentre i passi precipitosi, disordinati di lui la inseguivano.
Il vento era ormai come sciolto dagli ormeggi e sempre più furiose e urlanti le eruzioni del grande vulcano, tanto che i richiami prolungati di Berto, che agitava una lanterna nel buio, si mescolavano con il fruscio dei rami e gli assordanti boati che sembravano scivolare con la lava incandescente lungo i fianchi della montagna…
(Fine)

mercoledì 17 marzo 2010

Dedicato a Stromboli, l’isola dove puoi lasciare l’anima


(di Augusta Modica, prima parte)

Nessuno ti conosce

I corpi senza vita, sembravano adagiati sugli scogli e la roccia nera e rugosa faceva risaltare il biancore del lenzuolo che, pietosamente, li ricopriva. Si andava spandendo, attorno, una luminosità strisciante, annunciando che il sole non era ancora sorto e stranamente non si sentiva alcun suono.
Come a guardia della morte, un carabiniere li scrutava, rabbrividendo nella fredda mattina autunnale, alzando gli occhi verso una figura di uomo, imbacuccata in un impermeabile giallo da pescatore con la canna di un fucile sporgente dalla spalla destra, indifferente ma attento, come aspettando…
Le barche, cariche di passeggeri e di bagagli, si staccavano, a fatica, dalla grande nave di un bianco sporco avvicinandosi lentamente alla riva, Pietro, un uomo che dimostrava più dei suoi trentacinque anni, con una fisionomia scontrosa e annoiata, scese con difficoltà dalla barca, reggendo una piccola valigia e affondando i piedi nella sabbia nera e molle, si guardò attorno in cerca del padre che si faceva strada tra la folla rumorosa e allegra per andargli incontro. I due uomini si somigliavano appena; il giovane, mingherlino, sembrava leggermente curvo vicino Berto che appariva, per contrasto, vigoroso e robusto, il volto rugoso ma sorridente. Parlava, continuando a fumare e sorrise dentro di se, senza allegria, ricordando il figlio di pochi mesi, abbandonato dalla sua compagna, con fastidio e indifferenza: “Devo cercare la mia dimensione… non posso…è come se non fossi sua madre…”
Accendendosi un’altra sigaretta, rotolandola tra le dita macchiate di nicotina, accarezzandosi i capelli folti e striati di grigio, guardò di sottecchi Pietro e, alzando le spalle, continuò a ricordare che, incalzato da esperienze drammatiche, dibattuto nei conflitti e trascinato da una insofferenza crescente ad adattarsi ad un stile di vita inadeguato al suo bisogno di libertà, di una libertà totalizzante, scevra anche da sentimenti e responsabilità, dopo nove anni lo aveva lasciato in un collegio, crescere lontano; mentre la sua vita continuava, sciolta dai legami, nell’isola che lo aveva accolto, circondato e cullato dalle eruzioni del vulcano.
Sapeva che il figlio giudicava severamente la facilità e la disinvoltura dei suoi rapporti con le donne alle quali chiedeva il sapore ferino di un contatto che si tingeva, talvolta, d’amore ma scolorendosi con il tempo, si perdeva in nuovi incontri lasciando lievi ricordi che arricchivano il suo passato. Nelle numerose lettere che si erano scambiati, aveva cercato di sostenere il “ruolo”di padre, sforzandosi di provare interesse per la vita e gli studi del figlio e, difatti, l’unica visita che gli aveva fatto era stata in occasione della licenza liceale, ma… e poi? Pur provando un certo affetto per lui aveva, sovente, dimenticato ricorrenze, compleanni, il Natale e, qualche volta trascurato anche di mandare il denaro per il suo sostentamento, aveva provveduto la sorella; una donna energica piccola, piccola e tonda con tanti figli che accudiva come una chioccia, rifiutandosi di lasciarli andare per la loro strada, pur attempati come, ormai, erano.
Con l’avanzare dell’età, gli era nata in cuore una paura, un terrore… e, sentendo, a malincuore il peso degli anni che cercavano di impedirgli di continuare a gustare la vita come la natura della sua indole continuava ad esigere, aveva cercato rifugio nel pensiero di questo figlio, già adulto, e ripetutamente lo aveva pregato di venire nella sua casa di Stromboli, sperando che il soggiorno di Pietro potesse rivelarsi duraturo nel tempo, così da indurlo ad accettare l’ineluttabile passaggio delle “consegne”, a credere che tra quelle stanze, si sarebbe aggirato, in un futuro che non gli appariva lontano, qualcuno che non sarebbe stato lui.
Versi di Lorca gli sussurravano alle orecchie:
“No te conoce el toro ni la higuera,
ni caballos ni hormigas de tu casa.
porque te has muerto para siempre.”
Un sapore amaro gli riempì la bocca mentre si avvicinavano alla grande casa”sonnecchiante a mezza costa tra il mare e il monte”, stringendosi nelle spalle si chinò ad accarezzare le lunghe e morbide orecchie dello spaniel che, venutogli gioiosamente incontro, fiutava, sospettoso, le caviglie di Pietro. “E’ un buon cane, vado a caccia con lui” spiegò al figlio, continuando ad accarezzare il dorso bianco e nocciola dell’animale e, quasi vergognandosi della sua debolezza, lo spinse via dicendo: “Non è abituato alle carezze del padrone!”
All’improvviso si aprì una porta nel cortile ed una donna molto giovane, uscì sistemandosi sulla spalla la tracolla di una grossa borsa di cuoio, inforcando nello stesso tempo un paio di grandi occhiali dalle lenti appena ambrate, sembrò contrariata dall’incontro e accennando appena un gesto di saluto, si avviò lungo il sentiero con passi rapidi, seguita dal cane, udirono la sua voce dai toni aspri ripetere più volte: “Vattene, Geo!”
Pietro e Berto non parlarono molto, cercavano di adattarsi alla convivenza e, mentre trascorrevano i giorni, continuavano ad esaminarsi avvertendo, con disagio crescente, una diversità che diventava sempre più profonda; Berto era integrato nell’isola, era “Stromboli”! Quando le eruzioni del vulcano si facevano violente, illuminando di vampate di fuoco il cielo nero e scuotevano i letti sui soppalchi, durante la notte, Berto rideva, prendendo in giro Pietro che, madido di sudore e con gli occhi, da miope, socchiusi, scendeva a tentoni la scala di legno, respirando affannosamente.
(Continua)

mercoledì 3 marzo 2010

UNA DAMA STORICA


Nel loggiato dello Steri, chissà quanti vi avranno giocato

lunedì 1 marzo 2010

ORATORIO DELLA PUBBLICITA' (già delle Croci)


Persistendo, ormai da anni, il ponteggio propubblicità (ed in assenza di qualsivoglia cantiere per la sciagurata idea di trasformarlo in albergo), consiglio agli estensori delle guide della nostra città di modificare il nome dell'edificio di basiliana memoria.
(Giuseppe Scuderi)