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di Augusta Modica
Dal Marocco con stupore
A tarda notte all’aeroporto di Tangeri per una attesa vacanza a seguito di un anno di intenso lavoro,dopo avere superato svariati sbarramenti di controllo e perquisizioni e avere risposto a pressanti domande sui motivi della mia visita in Marocco, fattemi in un inglese incerto e cantilenante (comprendo il francese ma non lo parlo abbastanza bene) dopo avere riempito moduli che chiedevano informazioni disparate; dal codice fiscale all’indirizzo del luogo dove avrei soggiornato,al mio stato di salute, alla mia città di provenienza, al mio lavoro etc.,andai ad aspettare il mio consistente bagaglio…che non arrivava! Come di certo è capitato a tanti altri sfortunati viaggiatori, anch’io ho provato l’irritazione e il disagio di non avere neanche lo spazzolino da denti per affrontare la prima notte delle mie agognate vacanze, mentre quel che scoteva di più i miei nervi, già messi a dura prova, fu la notizia, datami da un impiegato assonnato e di malumore: il bagaglio non mi sarebbe stato recapitato ma sarei dovuta andare all’aeroporto a ritirarlo! Devo confessare che mi vennero alle labbra diverse considerazioni poco lusinghiere su un Paese che accoglieva così male i malcapitati visitatori ma, guardandomi attorno e avvertendo un’atmosfera non favorevole ad accogliere critiche o rimostranze, preferii inghiottire il rospo e mi avviai verso la macchina che mi aspettava per portarmi al Club Med, vicino Tetouan, dove avevo prenotato, a due ore circa da Tangeri. Solo in seguito seppi che esisteva un altro aeroporto molto più vicino a Tetouan, ma è soltanto per il re e alte personalità, compresi i capi villaggio.
Era la prima volta che venivo in Africa e mi ero fatta delle idee anche piuttosto superficiali
e imprecise.
Freddo in Africa.
L’automobile correva velocemente per strade ampie e pulite fiancheggiate da costruzioni talvolta non terminate che nel buio mi apparivano bucate da finestre di forma stranamente lineare.Erano circa le tre del mattino e c’erano persone per le vie e in qualche locale illuminato,con i tavolini sui marciapiedi,incuriosita,aprii il finestrino ma una corrente fredda mi costrinse a chiudere. Freddo in Africa, dissi a me stessa infilandomi frettolosamente il cardigan di cotone che avevo poggiato sulle spalle, Poi. riflettendo, pensai che l’escursione termica abbassava la temperatura e continuai a guardare, sentendomi vagamente stupita senza capirne la ragione. All’improvviso scossi la testa aguzzando lo sguardo, perché al cervello mi era arrivata l’immagine, insolita, di persone compostamente sedute che parlavano invece di urlare o ridere sgangheratamente camminavano per le vie, senza barcollare e senza bottiglie in mano. L’autista, un bellissimo ragazzo greco con i capelli ricci, che si chiamava Themelis, osservando la mia espressione stupita mi disse in ottimo italiano (la madre era siciliana):”Non bevono alcool, non possono e non vogliono; lo impedisce la loro religione”e aggiunse, sorridendo che c’era la polizia a ricordarglielo nel caso che avessero derogato a questa regola.Mi appoggiai al sedile riflettendo; certo sapevo che l’Islamismo prescrive l’astensione dall’alcool ma,scioccamente, non mi aspettavo che tutti, abitanti e turisti vi si conformassero, alla lettera. E fu l’inizio per me di un lungo cammino di conoscenza del Marocco che come dice un poeta marocchino,Tahar ben Jelloun “..è un susseguirsi di porte che si spalancano a mano a mano che si avanza”.
Lavoratrici velate
Non c’erano cumuli di rifiuti, lattine, carte o cani randagi, per quanto girassi la testa tutto appariva stranamente ordinato; erano ormai le quattro della mattina e cominciai a notare gruppi di uomini e donne, molte di queste con il velo, decentemente vestite salire su piccoli pullman.”Vanno al lavoro”disse il ragazzo greco”Affittano un veicolo e vanno a lavorare insieme” e aggiunse che dieci anni fa,percorrendo questa stessa strada con il pulmino per prendere o lasciare i turisti del villaggio, pregava con tutte le sue forze che non si forasse nessuna gomma e che il motore non si guastasse perché c’erano torme di mendicanti, di gente che graffiava, implorando, i vetri della macchina, bambini forse malati o addormentati sul selciato,vecchi con gli occhi chiusi e le mani rattrappite sul petto”.Dieci anni”: Pensai che in dieci anni una realtà tragica era mutata così radicalmente e senza stravolgimenti, cioè senza che le costruzioni somigliassero anonimamente alle periferie di Roma, Atene o Palermo la mia bella città “Rosa e Nera”il cui decadimento sembra torbido e irreversibile! Era evidente che i piani regolatori erano rispettati, i colori erano tenui e i cantieri aperti testimoniavano una crescita controllata di abitazioni e locali grandi e piccoli.Ero molto stanca e fortunatamente la macchina imboccò un lunghissimo viale che sembrava snodarsi in mezzo ad un parco; sbadigliando entrai in un bungalow di pietra, interamente coperto di rampicanti, rabbrividendo all’aria frizzante della notte.
Dormii sodo e a lungo senza neanche la goccia di profumo francese che sembrava fosse la camicia da notte di una famosissima attrice americana di tanti anni fa. Mi svegliò, molto tardi, un fruscio che si allontanava e si avvicinava come un sospiro trattenuto; sapevo che era l’oceano e, ansiosa di vederlo, corsi verso le grandi porte finestre spalancandole. Il cielo era di un grigio chiaro, la spiaggia a perdita d’occhio, cosparsa di piccoli gigli bianchi che spuntavano dalla sabbia; chinandomi a raccoglierne uno notai che sulla sabbia c’erano innumerevoli conchiglie di tutte le grandezze e di diversi colori sfumati. La battigia era molto ampia e minuscole onde scivolavano sulla sabbia compatta e lucida come un pavimento. L’acqua dell’oceano era molto fredda ma sembrava massaggiarti vigorosamente la pelle dandoti energia mentre gli occhi mi si spalancavano; una sensazione insolita e mai provata.
-continua.